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Lo stato, per Kant, non deve occuparsi di assicurare il benessere e la felicità del popolo perché non esiste un benessere indipendente dalla personalità umana tale da poter essere unilateralmente elargito. Il criterio di felicità e di infelicità nasce dall'individuo, e lo stato deve limitarsi a garantire la libertà di ciascuno nell'incontro delle libertà di tutti, di fare in modo che uomini naturalmente inclini all'usurpazione vivano invece nel rispetto reciproco. La libertà dei singoli vincolata e veicolata dalla coercizione della legge "in uno Stato in cui la naturale diversità dei singoli" è "prodotta e mantenuta dall'artificio dell'eguaglianza" (1).

Kant ripudia il paternalismo dello stato che, ai suoi occhi, incarna la peggiore forma di dispotismo nella pretesa di trattare gli uomini alla stregua di fanciulli cui insegnare la felicità. Governare significa, al contrario, limitarsi a favorire, dal di fuori e con i mezzi della legge, la libera e produttiva crescita degli individui. Il  diritto, quindi, è il principio supremo dello stato che contempera la limitazione della libertà di ciascuno con le libertà di tutti, definendo il campo di azione dell'agire umano in cui "l'uomo libero" (2) può giudicare che cosa sia la felicità attraverso l'uso critico della propria  ragione, senza assoggettarsi alla regolamentata elargizione governativa. Ne deriva che lo stato, ed il diritto che lo fonda e definisce nelle sue strutture e nei suoi limiti, non deve occuparsi di rendere l'uomo spontaneamente buono e morale, ma deve fornire un  ordinamento giuridico che ne incanali le passioni, disciplinandone gli istinti in modo che esseri naturalmente disposti al torto, possano invece convivere tra di loro coordinando, in un sistema di valori più alto, le specifiche e contrastanti libertà di cui sono portatori . E' cruciale in questo contesto l'idea (3) secondo la quale un uomo malvagio (inteso come colui che rispetto alla comunità fa un'eccezione per sé e non colui che vuole il male) può essere un buon cittadino in uno stato buono. In altri termini, è da una buona costituzione dello stato che bisogna aspettarsi la buona educazione morale di un popolo, non dalla personale bontà del sovrano o dei membri del parlamento . Non contano le differenze delle persone che detengono il potere, contano solo le  strutture giuridiche, la forma  di governo in cui quelle persone operano, in presenza o assenza della legalità, dell'idea stessa  di diritto.


La malvagità della natura umana, che si manifesta in quei luoghi dove nessun freno giuridico ha saputo moderare e disciplinare i rapporti umani, e la cattiveria istintiva, radicata nella tendenza a commettere torti agli altri, trovano una controparte nel bisogno di "socievolezza" degli individui, "vale a dire nel fatto che nessun uomo può vivere solo, che gli uomini sono interdipendenti non solo nei loro bisogni e nelle loro cure ma anche per quanto riguarda la loro somma facoltà, la mente, che non può funzionare al di fuori della società umana"(4). Kant ne deduce che, per quanto il cammino dell'umanità sia segnato da guerre e da violenze, da rapine e da stragi, è un cammino irrimediabilmente "diretto verso il meglio" che attraverso la dolorosa e apparente casualità degli avvenimenti storici, permette all'uomo di maturare l'esigenza del bene e l'idea del diritto, che esprimono il suo bisogno di sicurezza. "Ciò che fornisce tale garanzia non è altro che la grande artefice Natura (natura daedala rerum), dal cui corso meccanico scaturisce evidente la finalità di trarre dalle discordie degli uomini, anche contro la loro volontà, la concordia"(5). Da un lato, quindi, l'essere umano teleologico che continuamente si propone scopi e fini, dall'altro la natura, a cui quegli scopi e quei fini appartengono, che procede a prescindere dagli individui : ciò che trascurano di fare, lo fa lei stessa, ma senza riguardi nei loro confronti . "Ciò che conta nella storia, la cui casuale, contingente malinconia Kant non ha mai dimenticato, non sono le storie, non sono gli individui storici, non è ciò che gli uomini hanno fatto nel bene o nel male, ma l'astuzia segreta della natura, che ha reso possibile il progresso della specie e lo sviluppo delle sue potenzialità nel succedersi delle generazioni"(6).

A questo punto potrebbe sembrare che il punto di vista finalistico assunto da Kant per trovare il "filo conduttore" della storia umana (il progredire incessante dell'umanità voluto dalla natura(7)) annulli senza scampo la libertà dell'uomo. Ma così non è, in quanto ciò che da un punto di vista di causa-effetto è inteso come necessità, assume il carattere non solo di libertà ma anche di  dovere, se viene considerato dal punto di vista dell'individuo . Egli non si sottrae alla spinta della natura se l'agire in quella direzione è un comando della ragione (imperativo morale). Sottomesso, come essere sensibile, alla causalità meccanica dell'universo, l'uomo riscatta questa soggezione penetrandola e comprendendola intellettualmente, elevando a "dovere" lo "scopo" della natura (che non può essere segreto in quanto la ragione lo comprende).  L'uomo è libero perché comprende il meccanismo della  natura ( e, forse, anche "frustrato" dal momento che la natura realizza il proprio scopo "senza riguardi" per l'individuo che si esima dal collaborare a questo disegno). L'autonomia individuale si definisce quindi nel sommarsi della libertà morale e dell'intervento effettivo dell'uomo sulla natura. Se per certi versi l'uomo appare come "essere sperduto" nell'universo, quasi irrilevante appendice della vastità, per altri si può dire che il mondo gli ruota intorno dal momento che lo può comprendere ed esplorare attivamente. La libertà dell'uomo sta, forse, nella sua incolmabile ignoranza, condizionata dal mondo in cui cerca di avventurarsi.
 



Lo stato di natura è lo stato non giuridico (o di "diritto provvisorio") e, in quanto tale, lo stato di guerra permanente (potenziale o effettiva) da cui l'umanità tenta di uscire per la propria sicurezza . La stipula di un  contratto sociale  serve agli individui per uscire, di comune accordo, dallo stato di natura e per costituire uno stato giuridico (o di "diritto perentorio") adatto alla convivenza. La società civile è questo stato giuridico  che solo è capace di garantire la pace e al seguito della pace, eventualmente ma non necessariamente, altri beni, quali la libertà, la proprietà, l'eguaglianza. Ciò che contrappone la società civile allo stato di natura è il carattere di società giuridica, nel duplice senso di società regolata dal diritto perentorio (la cui osservanza è affidata all'esercizio legittimo del potere coercitivo), e di società garante del diritto originario di ogni uomo (il diritto di libertà inteso come indipendenza "dall'arbitrio costrittivo" altrui). "L'uomo, sopra ogni altra cosa, pone il diritto, è legislatore. Ma si può essere legislatore soltanto se si è liberi; è una questione aperta se la stessa massima possa valere per l'uomo libero come per quello non libero. E anche qualora accettiate la soluzione kantiana qui esposta, resta che il suo presupposto è evidentemente la "libertà di penna", cioè l'esistenza di uno spazio pubblico, se non per l'azione almeno per l'opinione"(8). La vita sociale deve perciò essere strutturata in base al fine per cui ognuno goda della massima libertà possibile, tenendo conto dell'importantissima e significativa restrizione per cui la libertà di un individuo non deve ostacolare o ridurre la libertà degli altri . Il diritto interviene ad operare la necessaria restrizione della libertà di ciascuno perché tutti possano avere il massimo della libertà che è possibile conseguire nella convivenza sociale.


Gli uomini, quindi, attraverso una volontà consapevole stipulano tra di loro un "contratto di convivenza", che è, per Kant, anzitutto un'idea della ragione per tutelare la propria sicurezza . Nell'atto stesso in cui entra in rapporto contrattuale con altri uomini, l'uomo singolo trasforma la propria "selvaggia" libertà in una libertà regolata e limitata dalle leggi . Ma a caratterizzare il contratto originario, l'accordo a sottostare a "leggi pubbliche coercitive" per garantire la libertà di ognuno, non è la  sua utilità bensì la sua doverosità. Il dovere di contribuire al progresso dell'umanità verso lo scopo ultimo della natura viene prima dell'utile  di cui può beneficiare il singolo individuo.
Una tappa fondamentale di questo progresso è la costituzione civile(9), il rapporto di uomini liberi che vivono sotto l'imperio di leggi coattive . Al governo non spetta la garanzia della moralità tra gli uomini, ma del libero gioco di volontà e libertà, nel tentativo di mettere d'accordo bisogni e desideri concorrenti o contrastanti (sono questi i fondamenti dello stato liberale classico). Limitato ad una funzione "regolativa", lo stato kantiano non può oltrepassare il confine della coscienza individuale, e parimenti quello delle inclinazioni e del gusto. La forma migliore di costituzione, secondo i presupposti kantiani, è quella repubblicana, che realizza, in se stessa, i tre principi fondamentali della libertà, del diritto e dell'uguaglianza: la libertà dei membri della società (esterna e negativa); la dipendenza di tutti da un'unica comune legislazione (ispirata all'idea del contratto originario); l'uguaglianza (soltanto formale o giuridica) di tutti i cittadini. Il sistema di governo repubblicano, fondato sul principio della separazione dei poteri, in modo particolare del potere esecutivo (governo) dal potere legislativo, evita il vizio più grave dello stato dispotico in cui la volontà pubblica, espressa dalla legge, è sostituita dalla volontà privata del sovrano, espressa da inclinazioni personali.


Il fine primario del governo repubblicano è la pace interna, ovvero la cessazione dello stato permanente di guerra tra i componenti del gruppo . Su questo presupposto si sviluppa l'idea kantiana per cui, se si instaurasse un regime repubblicano in tutti gli stati del mondo ne conseguirebbe una sorta di pace universale. Infatti l'accordo avverrebbe fra stati che per la loro stessa costituzione sono al loro interno meno propensi di altri ad avventurarsi in imprese belliche. Nello Stato repubblicano, infatti, in pieno contrasto con lo Stato dispotico, dove "è richiesto l'assenso dei cittadini per decidere l'entrata in guerra, nulla è più naturale del fatto che, dovendo decidere di far ricadere su se stessi tutte le calamità della guerra…essi rifletteranno a lungo prima di iniziare un così cattivo gioco"(10).  L'uscita simultanea degli stati dalla condizione del "tutti contro tutti" si può attuare, quindi, attraverso un contratto che ricalchi, in grande, il contratto stipulato dai cittadini all'interno del singolo stat . Questo "contratto in grande" per superare il problema della continuità della guerra (poiché i vari trattati di pace non sono altro che tregue tra due guerre) caratterizza i rapporti tra gli stati, è un principio a loro superiore  che consiste nella "federazione di popoli" (Volkerbund)(11). Quello che è accaduto all'interno dei singoli stati attraverso il contratto originario e l'instaurazione della "repubblica", deve accadere anche all'esterno, tra i vari stati giuridicamente costituiti. La federazione deve avere, rispetto agli stati che la compongono, una funzione analoga a quella che ha avuto la costituzione degli stati particolari nei riguardi dei singoli individui, ma con la diversità che il patto fra gli stati è un puro e semplice patto di società cui non segue alcun patto di soggezione. Pur accordandosi nel porre termine alla guerra, gli stati non sottopongono la garanzia della efficacia del patto a un potere coattivo al di sopra di ognuno di essi, e quindi non danno vita a un nuovo stato: la lega degli stati prevista da Kant è una confederazione e non uno Stato federale, e  la pace che ne deriva non è di conquista ma di accordo, non è una pace imposta con la forza ma attraverso il diritto. E' un pactum societatis tra eguali cui non segue un ulteriore patto di soggezione di tutti ad un potere superiore.
Dovere degli uomini è, quindi, lottare insieme per la costituzione repubblicana(12) e per la  pace perpetua (fine ultimo a cui tende il corso storico dell'umanità) in modo che, ad un livello superiore, gli stati stipulino il medesimo accordo di volontà che, attraverso il contratto originario, ha caratterizzato la formazione di un popolo. Dal momento che non può darsi pace perpetua senza garanzia  giuridica, gli stati devono imbrigliare alle leggi la loro "libertà selvaggia"  per trasformarla in libertà civile. Tali leggi devono essere considerate come leggi coattive, superiori ai singoli stati come, all'interno di ognuno di essi, sono superiori ai singoli uomini che, con il loro accordo, le hanno poste in essere. Come per un popolo, così per gli stati deve accadere che, al fine di sfuggire al peso della guerra ed al rischio delle violenze, si decida di entrare in una costituzione civile e di sottoporsi a leggi coattive. L'importante è avere cura, dopo essere entrati in una costituzione cosmopolitica, di non affidarla alle cure di un unico sovrano, perché, come spesso è avvenuto nel corso della storia, in quel caso sarà molto difficile evitare il pericolo di un feroce dispotismo. Per sfuggire a quel rischio mortale i popoli dovranno ricorrere ad una "condizione giuridica di federazione" in cui le singole individualità siano tutelate da un diritto internazionale stabilito di comune accordo. Il fine deve sempre rimanere quello, ineludibile, di cessazione della guerra, e per raggiungerlo, la formazione della lega dei popoli deve rispettare due limiti giuridici: quello derivante dal diritto pubblico interno che prescrive la costituzione repubblicana e quello derivante dal diritto cosmopolitico che disconosce il diritto di conquista. Secondo Kant, la lega dei popoli  deve essere lo scopo assoluto della politica dell'umanità, il fine a cui tendere se si vuole instaurare l'ideale della minima limitazione, della limitazione strettamente necessaria, della libertà umana nella società. "In definitiva però si è membri di una comunità mondiale per il semplice fatto di essere uomini: in ciò consiste la nostra "esistenza cosmopolitica". Nel giudicare e nell'agire politicamente ci si deve orientare all'idea, non all'effettualità dell'essere cittadino e con ciò anche spettatore del mondo" (13).

La sintesi fra diritto dello stato e ius gentium (il complesso delle norme egualmente osservate presso tutti i popoli civili, perché suggerite dalla ragione naturale) conduce al diritto cosmopolitico, che deve regolare il rapporto fra stati, in quanto potenze che si oppongono reciprocamente, come un rapporto fra membri ulteriori di un grande corpo unitario. Il  diritto cosmopolitico(14)  non riguarda i rapporti fra lo Stato e i suoi sudditi (diritto pubblico interno), e neppure i rapporti dello Stato con gli altri Stati (diritto pubblico esterno), ma i rapporti di uno Stato coi sudditi degli altri Stati. La massima fondamentale del diritto cosmopolitico è contenuta, per Kant, nell'universale ospitalità che comprende il diritto di ogni straniero che si trova nel territorio di un altro Stato a non essere trattato ostilmente e l'obbligo dello stesso di non approfittare dell'ospitalità che gli è dovuta, per trasformare la visita in conquista. Il diritto di visita, il diritto cioè di visitare paesi stranieri, il diritto di ospitalità e di temporaneo soggiorno e i doveri reciproci, rispettivamente degli individui e degli Stati, hanno un unico scopo, che è quello di contribuire alla instaurazione della  pace universale.



"Il "diritto cosmopolitico" ha con il "diritto delle genti" lo stesso rapporto che il "diritto pubblico" dello Stato ha con il "diritto privato": è la forma perfetta, il fine ultimo del diritto fra Stati, e dunque è il concetto, in senso proprio, di tutto lo ius gentium"(15). L'idea cosmopolitica della storia, quindi, corrisponde ad un'assunzione di responsabilità da parte di individui che, accettando le condizioni della loro esistenza, danno alla vita un valore attraverso la loro  azione al fine di costituire una società giuridica che abbracci tutta l'umanità, e che, in quanto tale, garantisca la pace universale e la libertà di tutti gli individui viventi sulla terra. Uomini e donne cittadini  di uno stato umano universale. "La destinazione ultima, in senso escatologico, non esiste ; ma i due fini principali, che guidano, sia pure dietro le spalle degli attori, questo progresso, sono la libertà (nel senso, semplice ed elementare, che nessuno domina sui propri simili) e la pace fra gli stati come condizione della concordia del genere umano. Progredire incessante in direzione della libertà e della pace - quest'ultima garantisce il libero scambio tra gli stati sulla terra : queste sono le idee della ragione, senza le quali la semplice trama narrativa della storia non avrebbe alcun senso"(16). Chi governa deve operare sempre in modo da rendere possibile l'unione universale degli Stati attraverso la costituzione di una comunità giuridica, anzi deve sempre operare in modo da avvicinarsi ad essa gradualmente, comportandosi in conformità della suprema massima secondo cui la persona umana non deve essere mai considerata come un mezzo (morale kantiana).

La libertà politica di ogni membro della società cosmopolitica è di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. Kant è fermamente convinto che la facoltà di pensare dipenda soprattutto dal suo uso pubblico, dal  libero ragionamento di fronte al "mondo", al "publicum dei lettori o degli  ascoltatori", all'umanità  in  genere. Senza la "prova dell'indagine libera e pubblica" non è possibile né il pensiero né la formazione dell'opinione, e poiché la  ragione non è predisposta, per  natura, all'isolamento ma al coinvolgimento , deve poter comunicare, deve poter  cambiare punto di vista per giudicare. "La conditio sine qua non  per l'esistenza di oggetti belli è la comunicabilità; il giudizio degli spettatori crea lo spazio senza il quale simili oggetti non potrebbero mai apparire. La sfera pubblica è costituita dai critici e dagli spettatori, non già dagli attori e dai produttori : un tale critico e spettatore risiede in ogni attore e inventore ; senza questa facoltà critica, giudicante, l'attore o il produttore sarebbe così separato dallo spettatore da non essere nemmeno percepito. O, formulando in altro modo, ma ancora sempre in termini kantiani: l'originalità dell'artista (o la capacità dell'attore di produrre novità) dipende proprio dal suo farsi comprendere da coloro che non sono artisti (o attori) . E mentre si può parlare di genio, al singolare, in virtù della sua originalità, non si può affatto parlare nello stesso modo, come faceva Pitagora, dello spettatore. Gli spettatori esistono soltanto al plurale. Lo spettatore non è coinvolto nell'azione, è però sempre legato agli altri spettatori. Con il produttore non condivide la facoltà del genio, l'originalità, con l'attore non condivide la facoltà dell'innovazione : quello che però tutti hanno in comune è la facoltà del giudizio"(17) . I protagonisti dell'azione politica, in quanto attori che recitano delle "parti", hanno una visione parziale dell'insieme che, invece, può essere colto , nella sua globalità,  solo dallo spettatore, che, nell'atto  di giudicare, si allontana dall'agire umano  e riflette, in modo "disinteressato", sul suo significato.

Le libertà civili della società cosmopolitica sono garantite  da leggi generali, nel senso che alla libertà degli (e tra) gli uomini corrisponde l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (abolizione di tutti i "diritti di nascita"). Tra queste, la libertà giuridica, la più importante, esprime il principio per cui ognuno  ha facoltà di non obbedire ad altre leggi esterne se non a quelle cui si è potuto dare il proprio assenso . Questa libertà si fonda sul rapporto di uguaglianza tra i cittadini secondo cui nessuno può obbligare legittimamente l'altro a qualche cosa, senza che, al contempo, egli si sottoponga alla legge secondo la  quale, a sua  volta, può essere obbligato dall'altro nello stesso modo. Questi diritti innati appartengono necessariamente all'umanità e sono inalienabili. La legislazione stessa si rifà alla volontà del popolo, poiché le leggi hanno la loro origine empirica solo nel pubblico accordo dei cittadini condotto secondo ragione. Nella sfera pubblica(18) tutte le azioni politiche devono fondarsi su leggi che, a loro volta, devono apparire all'opinione pubblica come leggi "universali e ragionevoli". Per ottenere un tale scopo, Kant, ritiene indispensabile l'applicazione del principio della pubblicità. Le forme della  "pubblicità", quell'insieme di istituzioni che obbligano i governanti a dar pubblico conto delle loro decisioni e rendono impossibile la pratica del segreto, caratteristica degli Stati dispotici e delle monarchie assolute, devono essere la sicura garanzia della moralità dell'azione di chi governa. Se risulta impraticabile un'azione pubblicamente dichiarata ingiusta, allora significa che ogni azione necessita della pubblicità per non compromettere il proprio scopo. "La pubblicità di Kant va quindi considerata come quel principio che solo può garantire l'accordo della politica con la morale. Egli considera la pubblicità come principio dell'ordinamento giuridico e insieme come metodo illuministico "(19). La pubblicità, al contempo di critica e di sviluppo delle capacità individuali, è un mezzo attraverso il quale è possibile "ampliare"  il pensiero poiché  non solo spinge a paragonare il giudizio personale con quello altrui, eventuale o effettivo che sia, ma anche a porsi, attraverso l'immaginazione, nei panni di altri individui (provare a cambiare punto di  vista durante il confronto). "Il pensiero critico è possibile solo dove i punti di vista di tutti gli altri siano accessibili all'indagine; giacché, pur essendo un'occupazione solitaria, non ha reciso il legame con gli altri. Certo, esso si svolge ancora nell'isolamento, ma con la forza dell'immaginazione rende gli altri presenti e si muove perciò in uno spazio potenzialmente pubblico, aperto in tutte le direzioni; in altri termini adotta la posizione del kantiano cittadino del mondo. Pensare con una mentalità ampliata significa educare la propria immaginazione a visitare"(20).  Se la comunicabilità dipende dalla mentalità allargata, si può comunicare soltanto se si è in grado di pensare a partire dal punto di vista dell'altro  Solo in questo modo ogni questione viene sviscerata ed analizzata da ogni possibile prospettiva fino ad essere definitivamente compresa. Secondo Kant, la sfera pubblica che si costituisce nella discussione tra cittadini sugli affari che riguardano la loro convivenza (sfera pubblica con funzioni politiche) è il principio organizzativo dello stato di diritto a costituzione repubblicana. Nel suo ambito si consolida  la società civile come sfera di autonomia privata in cui ognuno persegue la propria felicità con i mezzi che gli sembrano più opportuni, sulla base della fine del monopolio del potere politico, ecclesiastico e pedagogico.


Allo spazio pubblico, secondo Kant, possono accedere soltanto i proprietari privati, la cui autonomia, radicata nella sfera dello scambio delle merci, coincide con l'interesse al suo mantenimento come sfera privata. Il requisito di accesso alla sfera pubblica è che l'uomo sia il "suo proprio padrone e abbia quindi una qualche proprietà…che gli procuri i mezzi per vivere". Soltanto i proprietari privati sono padroni di se stessi, soltanto loro sono autorizzati a votare, all'uso pubblico della propria ragione. "La subordinazione…negli esempi del povero, del bambino e della donna, …del salariato…condiziona l'accesso attivo all'esercizio della sovranità…Per essere "cittadini" e non solo "consociati protetti", oltre alla qualità naturale di non essere né bambino né donna, è necessario non essere subiecti…Il tratto effettivamente sintetico di questa qualifica è appunto quello di considerare la cittadinanza come effetto della proprietà"(21). Il significato politico dell'esclusione praticata da Kant si radica nella importanza  che egli dà al bisogno di "indipendenza di giudizio" dei votanti, possibile solo a chi non è soggetto a nessuno. L'esclusione di una parte dei cittadini mira ad evitare la schiacciante vittoria, ai danni dei piccoli e medi proprietari, che si configurerebbe dalla coincidenza tra i voti dei "grandi proprietari" e quelli della massa servile a loro soggetta (non ancora emancipata politicamente). L'esclusione dei "subiecti" è dunque pensata non come esclusione di coloro che non sono proprietari, ma di coloro che sono oggettivamente dipendenti. E la limitazione, per Kant, si accorda con il principio della sfera pubblica soltanto se entro la sfera privata sussistono eguali possibilità, per chiunque, di acquisire proprietà grazie all'efficacia del meccanismo della libera concorrenza. In tal modo, i non proprietari, esclusi dal pubblico dei privati che ragionano  politicamente, non sono cittadini  ma semplici consociati (godono della protezione comune e della protezione della legge, anche se sono privi del diritto di elaborarla) che possono diventare cittadini con "il talento, la diligenza e un po' di fortuna" .

 


 

1. Filippo Gonnelli, La filosofia politica di Kant, Laterza, Bari 1996, p.42 .

2. Kant definisce il termine libertà come "diritto unico e originario spettante ad ogni uomo in forza della sua umanità" .

3. Variazione kantiana della tesi di Aristotele secondo cui un uomo buono può essere un buon cittadino solo in uno stato buono .

4. Hannah Arendt, Teoria del giudizio politico, il melangolo, Genova 1990, p.22 .

5. Immanuel Kant, Per la pace perpetua, Editoriori Riuniti, Roma 1985, p.19 .

6. Hannah Arendt, op. cit. , p.18 .

7. A questo proposito  Hannah Arendt ritiene di avere individuato una contraddizione in Kant: "il progresso indefinito è la legge del genere umano ; al tempo stesso, la dignità dell'uomo esige che questi (ogni singolo individuo) sia in quanto tale, nella sua particolarità, visto riflettere - ma oltre ogni comparazione  e in una dimensione di atemporalità - la generalità del genere umano . In altri termini, l'idea stessa di progresso - se deve essere qualcosa di più di un mutamento di circostanze e di un miglioramento del mondo - contraddice la nozione kantiana di dignità dell'uomo . E' contrario alla dignità umana credere nel progresso . Progresso significa poi che la storia come trama narrativa non ha mai fine . La sua fine è nella sua infinità . Non vi è alcun punto dove potremmo fermarci e guardare indietro con lo sguardo rivolto al passato dello storico" . (Hanna Arendt, op. cit. , p.118) .

8. Hannah Arendt, op. cit. , pp.77-78 .

9." Per Kant "costituzione" significa dunque forma della sovranità, e la sovranità è per sua natura indivisibile e illimitata : "miste", cioè appunto limitate, non sono mai le costituzioni, ma sono le forme di governo " . ( Filippo Gonnelli, op. cit. , p.37) .

10. Immanuel Kant, op. cit. , p.11 .

11. Secondo W.B.Gallie, C.J.Friederich, F.Gonnelli, G. Marini, è da riformulare la tesi che vede una sorta di contraddizione tra la federazione dei popoli (Volkerbund) e lo "Stato di popoli" (Volkerstaat) , in quanto essi ritengono che la prima sia il passaggio necessario al secondo . La federazione rappresenta il passaggio alla realizzazione del diritto delle genti, poiché da un lato tiene ferma l'autonomia di ogni singolo stato, producendo la corretta forma universale di antagonismo sulla quale stabilire un potere riferito alla sovranità di tutti i popoli, e dall'altro impedisce la caduta progressiva dei vari stati sotto il dominio del più potente, prefigurata dal colonialismo .

12. Avversario accanito della forma democratica, che è per lui la peggiore e la più confusionaria delle forme politiche, Kant è tuttavia un celebratore della Rivoluzione francese, un ammiratore dell'impeto e del coraggio dei grandi rivoluzionari .

13. Hannah Arendt, op. cit., pp.115-116 .

14. "Da sottolineare è…l'uso politico del concetto di "diritto cosmopolitico"…esso consiste essenzialmente in una critica del colonialismo". (Filippo Gonnelli, op.cit. , p.226)

15. Ibid., op. cit. , p.230 .

16.  Hannah Arendt, op. cit. , p. 91.

17. Hannah Arendt, op. cit. , p.97 .

18. La sfera pubblica kantiana è il tentativo di mediare, in senso specifico, politica e morale .

19. Jurgen Habermas, Storia e critica dell'opinione pubblica, Editori Laterza, Bari 1988, p.128 .

20. Hannah Arendt, op. cit. , p.68 .

21. Filippo Gonnelli, op. cit. , p.132 .

 

 

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