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Secondo Popper, infatti, al totalitarismo di Platone si contrappose l'egualitarismo (o umanitarismo), un  movimento di pensiero nato nella Grecia antica dalle idee di eminenti personaggi (come Pericle, Euripide, Licofrone, Protagora, Democrito, Gorgia , Socrate e molti altri ancora) che mirava all'eliminazione dei privilegi naturali, fondandosi sul principio generale dell'individualismo e sul principio che deve essere compito e fine dello stato quello di proteggere la libertà dei cittadini . Secondo la teoria egualitaria, i cittadini dello stato dovevano essere trattati imparzialmente, quindi a prescindere dalla nascita, dalla famiglia o dalla ricchezza posseduta, affinché certi privilegi fossero conferiti solo ai membri della comunità politica che si erano distinti per merito nella loro  capacità di azione. Assicurare dei privilegi politici in base alle differenze naturali di carattere, infatti, nascondeva il grande rischio di affidare lo stato all'ereditarietà dei ruoli anziché alla capacità di rivestirli. L'individualismo erodeva la rigida divisione di classe affermando l'autonomia, il valore preminente ed i diritti del singolo rispetto alla collettività di cui faceva parte: allo stato non si chiedeva più la protezione di uno o di alcuni, ma di tutti, nei limiti di quella libertà che, nella convivenza, non danneggia gli altri  cittadini. Tanta libertà per ognuno quanto è compatibile con quella degli altri. Lo stato democratico veniva ipotizzato come dimostrazione che è possibile una approssimativa determinazione del grado di libertà che si può lasciare ai cittadini senza mettere in pericolo quella libertà la cui protezione è compito dello stato. Prendeva definitivamente forma l'idea di "protezionismo", la garanzia che lo stato assicura qualsiasi genere di libertà nei limiti della legge (intesa come patto per mezzo del quale gli uomini si garantiscono reciprocamente giustizia e come strumento per la protezione dei cittadini contro eventuali atti di ingiustizia di altri cittadini o dello stesso stato). L'obiettivo di fondo era la protezione del debole dal rischio di essere sopraffatto dal forte.

"Chi deve reggere lo stato?" è la domanda che Platone ha posto alla base dell'elaborazione politica. I teorici ed i filosofi della politica hanno sempre cercato di fornire una valida risposta per giustificare e legittimare il potere, senza però rendersi conto che la domanda può risultare sviante in quanto, nella ricerca della giustificazione del potere (nel senso che a qualcuno o a qualche gruppo inerisca l'attributo della sovranità sugli  altri )  conduce al paradosso.  Se,  infatti, si presuppone un potere politico essenzialmente incontrollato, si presuppone che l'individuo o il gruppo che detiene il potere si possa rafforzare senza limiti, ed il problema essenziale diventa quello di trovare il modo di  mettere il potere nelle mani migliori. Ma nessun potere politico è mai stato incontrollato in quanto è limitato per natura chi lo esercita:  nessun potere politico umano  può essere assoluto e   illimitato. L'esercizio del potere anche da parte dell'individuo più potente che sia mai esistito, deve per forza dipendere dai suoi aiutanti, che a loro volta dipendono da altri aiutanti, e così via nella scala gerarchica che dissolve l'idea monolitica del potere. Questa dipendenza significa che il potere, per quanto grande sia, non è affatto incondizionato. Popper, per parte sua, ribalta completamente i termini della questione, esprimendo il problema della politica in un altra forma : "Come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi o incompetenti facciano troppo danno?"(5). Non conta chi deve comandare, ma come controllare chi comanda. Secondo Popper bisogna sforzarsi di realizzare il controllo istituzionale dei governanti bilanciando i loro poteri mediante la contrapposizione di altri poteri. La sua "teoria dei freni e dei contrappesi" si fonda essenzialmente sull'esistenza di  istituzioni democratiche che forniscano  ai governati i mezzi (per esempio libere elezioni generali) attraverso i quali si possano sostituire governanti incapaci o dannosi. "La società aperta non è partecipazione, ma controllo, indefinita soluzione di problemi tramite l'eliminazione degli errori di chi ha avanzato proposte per risolverli. E la democrazia vive se l'iniziativa di chi governa è messa alla prova  dalla critica di chi si oppone . Esattamente come nella scienza. Una democrazia senza opposizione non può esistere, come non può esistere una scienza senza controlli. L'alternativa è la società chiusa, dogmatica"(6). Dipende dai cittadini dello stato democratico costruire, perfezionare e proteggere le istituzioni politiche, inventate sia per poter convivere con altri individui portatori di idee e ideali contrastanti sia per evitare la tirannide, poiché le istituzioni non migliorano se stesse. "Non scegliamo la libertà politica perché ci promette questo o quello. La scegliamo perché rende possibile l'unica forma di convivenza umana degna dell'uomo; l'unica forma in cui possiamo essere pienamente responsabili di noi stessi"(7). Il problema del miglioramento delle istituzioni, di  cui gli   individui sono responsabili in  quanto artefici delle istituzioni, è sempre un problema che riguarda le  persone, e compito dello stato è quello di garantire ai suoi cittadini un'educazione che li fornisca degli strumenti per conoscere le istituzioni democratiche ed i modi per migliorarle, nella libera partecipazione alla vita della comunità, ed attraverso qualunque mezzo sviluppi particolari interessi e inclinazioni. Se il fine educativo del totalitarismo è l'indottrinamento, il plagio lobotomizzante, quello dell'egualitarismo democratico è la stimolazione del pensiero critico in generale che solo garantisce l'indipendenza intellettuale. Il debito di fondo si paga all'intuizione socratica delle limitazioni proprie di ciascuno che invece di frenare l'individuo, ne stimolano il fervido interesse per l'umanità, per gli affari umani e la loro comprensione. L'opposto, invece, è rappresentato dall'educazione filosofica  di Platone per la formazione della classe dirigente eletta, chiusa alla critica e limitata dalla contraddizione tra la fissità del proprio ripetersi ed il mutare continuo della realtà circostante. La sovranità del re filosofo, quell'ultimo giro di vite alla costruzione dello stato ideale, probabilmente conclude e consacra il malcelato desiderio di potere che aveva caratterizzato l'intero approccio politico di Platone. "Quale monumento di umana piccolezza è quest'idea del re-filosofo! Quale contrasto fra essa e la semplicità e umanità di Socrate che ammoniva l'uomo di stato a guardarsi dal pericolo di lasciarsi abbagliare dal proprio potere, dalla propria superiorità e dalla propria sapienza e che cercava di fargli capire ciò che conta più di tutto - che noi tutti siamo fragili esseri umani. Che caduta da questo mondo di ironia e ragione e veracità al regno platonico del saggio i cui magici poteri lo sollevano al di sopra degli uomini comuni; benché non abbastanza in alto da rinunziare all'uso delle menzogne o ripudiare la meschina attività di ogni sciamano - la distribuzione di formule magiche, la fabbricazione di formule magiche, in cambio del potere sui suoi simili ."(8)

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