Il punto di partenza di questa analisi si situa nella Grecia antica, con particolari e frequenti riferimenti alla città di Atene, dove l’aggregazione umana seguì un iter di formazione e diffusione sul territorio talmente particolare da offrire una serie estremamente variegata di modelli. Con essi ancora oggi conviene confrontarsi per comprendere la radice di quei problemi che nella società contemporanea hanno assunto, secondo il mio punto di vista, semplicemente altre forme.
Senza dilungarmi sulla lenta trasformazione dei raggruppamenti umani attraverso i villaggi e le comunità basate sulla parentela che mi condurrebbe ad un discorso etnologico non pertinente a questa ricerca, focalizzerò, da subito, l’incipit della mia elaborazione teorica: la famiglia formatasi intorno al sacro focolare domestico, i cui membri si riconoscevano a partire dalla loro appartenenza ad un luogo specifico e circoscritto, ad una casa dove ognuno poteva adempiere alle proprie occupazioni ed ai propri necessari bisogni di sopravvivenza.
Intorno al focolare, a quell’escrescenza delle viscere della terra immobilizzate al suolo per rappresentare la permanenza degli individui nel mondo, si orientava e si organizzava lo spazio umano. L'immagine analogica dell'omphalos (ombelico), inteso sia come "centro rigonfio" il cui interno serba anime e vita, sia come cordone ombelicale che permette alla madre di trasmettere al figlio il nutrimento necessario alla crescita, esprime a pieno la tensione esistente tra la comunità ed il luogo d'origine. Il focolare, quindi l’omphalos della casa, era il luogo attorno al quale prendeva forma il nucleo familiare ed in cui si definiva il "senso della vita" di ogni individuo nel suo legarsi alla terra, alla madre-custode della morte e del seme vitale. Questo radicamento umano, questa forma di possesso privato della superficie terrestre, rappresentava l'essenza del "vivere per restarci" degli individui che non si percepivano più come casualità, ma come possibilità di permanenza generazionale. La fissità del focolare domestico stabilizzava l'oscillante precarietà degli esseri viventi: era un rifugio che li teneva lontani dalle insidie del mondo; era un punto di riferimento sicuro nella mutevole realtà di ogni giorno; era uno spazio in cui la quiete del ripiegamento religioso garantiva il contatto continuo tra la vita umana e la volontà divina. La certezza di permanere nel tempo, isolandosi dal mondo e marcando i confini per delimitare uno spazio privato, fu la componente essenziale al fondamento dell’oikos (parola che designa nello stesso tempo l’abitato ed il gruppo umano che vi risiede ), l’ambiente chiuso e rassicurante dove si conservavano le ricchezze che i bisogni familiari consumavano, e la purezza religiosa che l’unione del gruppo preservava . Dall’aggregazione di una molteplicità di oikos, di simbolici "centri di espansione", sorse la città-stato (1), un agglomerato di case e di individui la cui unione aveva inizialmente fornito la forza per difendersi ed il riparo per riprodursi secondo quei bisogni che stanno alla base dell’istinto umano.